Introduzione
Negli ultimi anni ho affiancato molti CTO junior come Fractional CTO e tech advisor.
Alcuni erano stati appena nominati. Altri erano dev esperti “promossi” a capo del team perché erano lì da più tempo. Altri ancora erano founder tecnici che avevano sempre fatto tutto da soli, ma a un certo punto hanno dovuto delegare e coordinare.
Il comune denominatore? Tutti erano bravi tecnicamente. Ma nessuno era pronto davvero a guidare.
E la colpa non era loro.
Il problema è che in tante aziende — soprattutto startup e PMI — il ruolo di CTO non è chiaro.
Si pensa che basti sapere programmare bene, conoscere gli stack, avere familiarità con devops e tool di project management.
Invece no.
Guidare la tecnologia non è questione di codice. È questione di visione, processo, responsabilità, come ho spiegato nel manifesto di La Via del Tech Leader.
Ecco cosa ho imparato affiancando questi CTO junior. E perché farlo è spesso la mossa migliore per far evolvere davvero il team tech.
1. Un bravo dev non diventa CTO per osmosi
Essere capaci di scrivere codice non significa saper costruire un team.
Né impostare una roadmap.
Né parlare con il CEO in modo strategico.
Né definire metriche.
Né tenere insieme tech e business.
Molti dev, quando diventano CTO, continuano a fare esattamente quello che facevano prima, solo con più stress, più meeting e più persone che li interrompono ogni cinque minuti.
In pratica, diventano dev frustrati.
Affiancandoli come Fractional CTO, ho visto che la prima cosa utile è liberarli da quello che non devono più fare.
Fargli capire che il valore non sta nel fare, ma nel guidare.
E soprattutto: che non devono sapere tutto, ma devono saper decidere su cosa serve sapere di più.
2. Il CTO non è un tech lead con un titolo diverso
Il tech lead gestisce il team. Coordina. Spinge sul delivery.
Ma il CTO disegna l’evoluzione dell’architettura, imposta la strategia tecnologica, parla con i founder, porta metriche, previene debiti tecnici, imposta standard, ragiona sul lungo termine.
Molti CTO junior non hanno idea di questo.
Pensano che il loro lavoro sia “far uscire le feature in tempo”.
Affiancarli serve per fargli fare un salto di livello:
dal pensare “quando” al pensare “perché”.
Dal pensare “come” al pensare “cosa serve davvero”.
E soprattutto: dal difendere il proprio codice al difendere le priorità dell’azienda.
3. Senza un modello, si naviga a vista
Uno dei problemi più diffusi nei CTO junior è l’assenza di un metodo di riferimento.
Ogni giorno è una giungla. Ogni meeting una rincorsa. Ogni nuovo dev un’incognita.
Il risultato? Decisioni estemporanee, roadmap che cambiano ogni settimana, strategie non comunicate o non comprese dal team.
Serve un sistema operativo per il ruolo di CTO.
È anche il motivo per cui ho scritto Vincere nel Tech e sto scrivendo CTO Playbook. Perché troppo spesso, chi guida la tecnologia non ha una cassetta degli attrezzi.
Quando affianco un CTO giovane, gli porto esattamente questo:
modelli di pensiero, strumenti decisionali, criteri di scelta, framework organizzativi.
E gli faccio vedere come applicarli, in concreto, nel suo contesto.
4. Il CEO non sa come aiutarli (e spesso li mette in trappola)
Altro grande classico: il CEO nomina un CTO, ma non lo prepara né lo supporta.
Gli dà il titolo, forse un aumento, qualche responsabilità in più. Ma poi si aspetta che faccia miracoli.
Il problema è che il CEO stesso non ha chiaro cosa dovrebbe chiedere a un CTO.
Non sa distinguere tra delivery e strategia, tra architettura e product, tra metriche e sentimenti di team.
Risultato? Il CTO si ritrova solo. Non capito. Frustrato. O, peggio, messo in discussione quando le cose non vanno.
In questi casi, il mio affiancamento serve anche al CEO.
Per capire come funziona davvero la funzione tecnologica.
Per imparare a dialogare col CTO.
Per non scaricare su di lui problemi che sono, in realtà, sistemici.
5. Crescere un CTO richiede tempo, fiducia e contesto
Affiancare un CTO junior non è questione di 2-3 call.
È un processo che richiede tempo, pazienza e fiducia.
Serve tempo per far emergere i veri blocchi.
Serve fiducia perché il CTO si senta libero di dire “questo non lo so fare”.
Serve contesto perché ogni azienda è diversa, e ogni CTO cresce solo se si lavora dentro la realtà concreta in cui opera.
Nel mio lavoro da Fractional CTO, uno dei risultati che mi dà più soddisfazione è vedere un CTO junior diventare un vero leader.
Non per talento innato, ma per consapevolezza acquisita.
E per un contesto che gli ha permesso di sbagliare, imparare e migliorare — senza bruciare il business nel frattempo.
Conclusione
Avere un CTO giovane in azienda non è un problema.
Il problema è lasciarlo solo.
O peggio: pretendere da lui un impatto che nemmeno i migliori potrebbero avere senza esperienza, supporto e metodo.
Affiancarlo con un Fractional CTO non è una delega, ma un investimento.
Un modo per far crescere la leadership interna, senza rinunciare al controllo strategico della tecnologia.
Un modo per mettere ordine, far evolvere il team, e costruire un futuro solido.
Un modo, soprattutto, per evitare di dover “cambiare CTO” ogni volta che la crescita accelera.
Perché un CTO non nasce tale. Si costruisce. Ma solo se ha accanto qualcuno che sa cosa vuol dire esserlo davvero.